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Carissimi Fratelli della Congregazione, ringraziamo Dio per questi giorni vissuti insieme, lo facciamo con l’Eucarestia dove è lo stesso Gesù che diventa ringraziamento al Padre con la sua morte rinnovata e offerta come in un’altra “ultima cena” nel cenacolo di questa cappella dove Lui è ancora una volta sacerdote e vittima e noi con Lui, per il corpo mistico che è la Chiesa.
La Solidarietà ha la sua massima espressione sulla croce dove Gesù muore per noi e nel Cenacolo dove Egli prende il pane che è il suo corpo e lo spezza e lo condivide tra i discepoli; prende la coppa di vino che è il suo sangue e lo da ai discepoli perché ne bevano tutti. Lo spezzare e il condividere lo stesso pane e il bere dalla stessa coppa sono il “segno” della condivisione e della solidarietà e noi ne facciamo “memoria” e la realizziamo in questo sacrificio eucaristico dove: “Essendo uno solo il pane, noi siamo un corpo solo sebbene in molti, perché partecipiamo dello stesso pane”. (1Cor 10,17) Le scelte personali, di Congregazione e del Sinodo non possono essere in contradizione con quanto celebriamo.
E’ la condivisione, lo spezzare il pane per distribuirlo che fa riconoscere Gesù ai due discepoli di Emmaus.
Ma non sono stati tutti giorni facili questi del Sinodo e dei due anni dopo Cuernavaca. Abbiamo sperimentato giorni di nebbia, smarrimenti, paura e la “tentazione dell’Esodo al contrario”, con la voglia di tornare indietro come Israele ai lavori forzati e alla vita precaria d’Egitto. Dio aveva un progetto per il suo popolo, non era un progetto per aiutare i potenti, ma per liberare gli oppressi.
Lo stesso Mosè aveva avuto i suoi dubbi e le sue resistenze alla chiamata di Dio che lo rassicurò: “Io sto con te.” E’ una piccola frase, ma che ha un forte significato: che può temere l’uomo se Dio è con lui? L’uomo può compiere la missione che gli è stata affidata perché non sarà solo a compierla, ma Dio starà con lui.
La presenza di Dio, rinforza, incoraggia, trasforma, è quello anche che ci ricorda anche oggi il Vangelo con il racconto dell’incontro di Zaccheo con Gesù nella città biblica di Gerico, ampia oasi ricca di acque, di palme e di frutteti, dove un’albero di sicomoro anche oggi ricorda l’episodio. Gesù è in viaggio verso Gerusalemme, (anche noi come Congregazione in questo periodo storico della ristrutturazione siamo in cammino verso Gerusalemme); nella folla che si accalca intorno a Gesù, due personaggi sono accumunati da un cammino di fede simile: un’anonimo mendicante cieco che grida: “Gesù figlio di Davide, abbi pietà di me”; grida forte, infastidisce perché oltre a gridare è anche mendicante, ma Gesù, sempre disponibile e solidale, lo guarisce: “Vedi la tua fede ti ha salvato. L’altro personaggio è Zaccheo, entrambi, il cieco e Zaccheo, al passaggio di Gesù reagiscono, prendono l’iniziativa e arrivano finalmente a “vedere” Gesù e a trovare la salvezza con lui: la salvezza arriva al povero, ma anche al ricco e al peccatore.